di Mario Luzi
Qualcosa
di quel certo fatale miscuglio vulcanico – sismico - barocco c’è in
Salvatore Cipolla - penso mentre l’artista catanese illustra le sue
ultime creazioni ceramiche. Sono una serie di splendidi piatti murali
che reinventano un quattrocento rigoroso, prospettico - tema centrale
cavallo e cavaliere chiuso nella sua armatura - e nello stesso tempo lo
sottopongono alla dinamica di una dirompente casualità. Ne riesce
spezzata la coerenza ordinaria dell’immagine, sconvolta la forma
regolare del manufatto. Tra il bianco e il grigio, nelle terre, e in
altre tonalità "di natura" i passaggi sono incredibilmente delicati e
luminosi. Una cifra stilistica assai alta solleva questi raggiungimenti
al di sopra della pur vivida fantasia che tutti riconoscono alla
produzione di Cipolla: e forse anche la tecnica ha tratto qui dalle
altissime cotture del grès qualcosa di più che le mirabili morbidezze
cromatiche da anni alla portata dell’artista (come attestano nel piano
sottostante dello studio vasi, figure scolpite, oggetti di ogni foggia
immersi nella luminosità che essi creano o nelle oasi di chiara opacità
che di quando in quando un particolare procedimento di combustione
consente di ottenere).
Scorrono sotto gli occhi i vari prodigi di
una perizia mai soddisfatta, di una ricerca senza pause, di una sfida
vittoriosa alle consuetudini; ma anche gli allarmi di una invenzione
inquieta che traduce le disarmonie e le crudeltà del tempo, con pietà e
con rivolta. Cipolla parla frattanto delle sue escursioni nella
sensibilità e nella sapienza, anche in fatto di colore, degli
orientali, dei suoi studi, delle sue esperienze di mestiere e di tutte
le acquisizioni che hanno contribuito a fare della tecnica un processo
sempre meno esteriore, sempre più intrinseco alle sue fondamentali
motivazioni.
Siamo a questo punto già molto significativo della identificazione
dell’artista quando Cipolla esce in una affermazione che mi colpisce a
fondo. "Tra te e la riuscita dell’opera c’è di mezzo il fuoco" - dice,
ancora parlando della ceramica. Allora, trattando dell’intervento mai
del tutto addomesticabile di un’energia così primaria com’è il fuoco,
sento tutta la forza d’avventura che Cipolla riconosce nella sua arte.
Il fuoco e l’incognita della sua opera. Non li subisce lui come una
limitazione ma anzi li esalta come una collaborazione da parte della
vita e dei suoi elementi e come una immedesimazione dell’artista con
tutto il vivente e con la sua vicenda. Immediatamente la sua figura
trapassa in una sfera più alta. Il ceramista (e lo scultore) esce dal
territorio circoscritto della sua arte che beninteso ha tutto esperito
nella ricerca di perfezione specifica, con mai sazia ambizione tecnica
e inventiva; ed entra a far parte di quegli artisti, rari, che
partecipano del principio stesso della creazione e lo sentono e se ne
investono.